Il vangelo di oggi – domenica della misericordia – ci porta alle ultime ore del primo giorno della settimana. Se per tutti è un ‘lunedì’ normale a Gerusalemme c’è un gran caos. Alla morte di Gesù, infatti, il velo del tempio si è squarciato e Matteo ci narra di un terremoto. Dunque la settimana inizia con un’aria davvero strana. Come non bastasse le donne tornano dal sepolcro annunciando la risurrezione e le guardie corrono dai capi per inventare la farsa del trafugamento di cadavere. È davvero un giorno complicato, faticoso da vivere e, come ci racconta Luca, qualcuno inizia ad andarsene (cf. Lc 24,13).
Giovanni, l’autore di questo brano, ci racconta di un’apparizione di Gesù in mezzo ai suoi. Ci sono le porte chiuse per timore dei Giudei e già questo deve metterci in allerta sul clima comunitario basso… per non dimenticare poi che manca Tommaso… dunque bassissimo… Gesù risorto viene dentro questa realtà complessa senza aspettare il giorno e l’ora perfetti perché non arriverebbero mai. E consegna alla comunità ferita il suo dono: “la pace sia con voi”. Bellissimo.
In un giorno di grande caos Gesù soffia lo Spirito creatore e inizia a ricreare la comunità cristiana e i suoi. Poi mostra le ferite alle mani e al costato e chiede ai suoi di accogliere la chiamata ad essere inviati: “come il Padre ha mandato me anch’io mando voi”. Occhio però: vedere le ferite, sentire l’augurio di pace, accogliere la chiamata ad essere apostoli non cambia la vita dei discepoli. Non la cambia! Infatti, una settimana dopo le porte sono ancora chiuse e Tommaso non è ancora convinto e chiede di toccare Gesù, quasi per sfidare gli altri. Irriverente? Non credo. Credo che in fondo abbia ragione.
Perché la fede ha bisogno dell’ultima frontiera della comunicazione: il contatto. Non basta la parola, non basta la vista, non basta neppure la consapevolezza dei propri ruoli o dei propri dover essere. Serve il contatto. Per questo Papa Francesco chiede alla chiesa un sussulto di prossimità. La prossimità dell’abbraccio, della carezza, del ‘corpo a corpo’ per poter raccontare il volto di Dio. Perché si sa che nel linguaggio dell’amore, quando le parole cessano, restano solo il silenzio, lo sguardo e il contatto. E Gesù si lascia toccare. Allora e oggi. Nel suo corpo che è la comunità cristiana.
“Guarda come si amano” scriveva già Tertulliano nel II sec, ossia: ‘guarda come quell’amore si fa carne in relazioni di amore concreto. Lì c’è Dio’. In questi giorni ho ascoltato un’intervista di un amico, don Mauro Frasi di Montevarchi. La sua vita e quella di tante persone che lo aiutano, specie giovani, è un racconto eloquente del ‘toccare Gesù’. La sua canonica è una casa famiglia dove vivono decine di persone accolte. Tutte le volte che sono stato si ha l’impressione di stare in un ‘caos’ di lingue, razze, culture, povertà, fragilità che lo Spirito rende un luogo di pace, un pezzo di cielo. Dove non ti domandi più se esista o no Dio perché lo tocchi.
Signore risorto vieni in mezzo ai nostri caos e facci toccare il tuo amore. E sarà più semplice… riconoscerti…
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