Nella prima lettura Isaia ci racconta di sé. Si trovava nel tempio e stava sperimentando la maestà di Dio, la sua grandezza, il suo essere creatore, Signore del tempo e della storia. E davanti alla sua santità sente paura, timore. Come se fosse impossibile che quella grandezza e maestà fossero disposti ad amarlo nella sua povertà e fragilità: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito…”. Eppure Dio gli tocca le labbra, lo spazio della sua impurità. La parola ‘adorare’ ha a che fare con la bocca, con la nostra oralità. Forse Isaia aveva ‘baciato’ altri dei, aveva seguito altre vie.
Ma, bellissimo, Dio non ha paura delle paure di non essere adatti, anzi tocca proprio lì dove siamo feriti e ci purifica. E poi lo invia a quel popolo povero come lui quale testimone e profeta che l’impossibile è possibile. Se il salmo ci fa cantare al Signore misericordioso, il vangelo ci offre una scena tenerissima.
Ho letto questo vangelo mille volte, ma vi confesso che non avevo mai notato una cosa che per voi può risultare ovvia. Ma è così: la Parola è un pozzo di amore senza fine. Gesù sta annunciando il vangelo in riva al mare e la folla è numerosa ad ascoltarlo. Vede i pescatori che tornano dalla pesca mentre lavano le reti. Senza dire nulla, ma con la stessa compassione del Dio del tempio nella prima lettura che accarezza le labbra di Isaia, sale sulla barca di Simone e gli chiede di spostarsi un po’ dalla riva e con calma si siede e parla di Dio.
Ho sempre pensato che lui rimanesse a terra e guardasse la scena da fuori mentre, scusate se per tanti di voi ho scoperto l’acqua calda, Lui chiede di prendere il largo e gettare le reti. Lui è sulla barca dunque va con loro. E nella bibbia brasiliana si dice: “avanza per le acque più profonde e lancia le vostre reti per pescare”.
Lui è lì e chiede a un popolo che ha il terrore dell’acqua – ricordiamo il Mar Rosso? – di andare in acque più profonde, quelle dove non andremmo mai per la paura che abbiamo di affogare, di non farcela. E Gesù viene con noi. Lui è lì. Sta con noi, ci aiuta a gettare le reti e raccogliere i pesci.
Pietro è sbalordito. Vede quell’uomo sulla sua barca aiutarlo e vede il suo volto soddisfatto dei tanti pesci. Soddisfatto di vedere una vita felice. E cade in ginocchio perché non si sente degno, adatto, adeguato per un amore così. E gli dice: “vai via da me, non ti merito, sei troppo per me…”.
E Gesù: “non avere paura, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”, ossia con me nella barca puoi pescare in acque profonde senza avere paura e diventerai speranza per altri che continuano a pescare nel bagnasciuga.
Signore anche noi abbiamo paura di acque profonde e spesso non ci sentiamo adatti per te. Sali sulla nostra barca e accompagnaci al cuore del nostro mare, al cuore di noi e accetteremo di essere come davvero tu ci vuoi senza le nostre paure.
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