a Proposito di Mare Nostrum, se avete pazienza vi commuoverete sicuramente per questa storia realmente accaduta circa 7 anni fa:
Il giovane Samuele K. è nato nella cittadina di Segeneyti nel sud dell’Eritrea nel 1990, ha compiuto da poco 18 anni e mi ha autorizzato a divulgare questo racconto perché convinto che altre persone si sono trovate o si troveranno nella sua stessa situazione e grideranno aiuto. La sua speranza è che il grido possa essere ascoltato e accolto senza riserve.
In famiglia erano in nove: lui, tre fratelli, quattro sorelle e il padre rimasto vedovo. Il padre agricoltore è disoccupato per via di continui attacchi d’asma.
Samuele K. ha frequentato la scuola fino all’ottavo grado (terza media).
Di religione cattolica frequentava la Chiesa insieme ad un gruppo giovanile, in parrocchia ha imparato a suonare l’organo, per cui animava anche la S. Messa domenicale in chiesa. E’ anche appassionato suonatore del Kraar una Cetra valiha strumento tradizionale dell’Etiopia.
Nel 2005, all’età di 15 anni mentre frequentava la terza media e precisamente il 1 settembre, giorno del capodanno locale, durante i festeggiamenti popolari, i soldati dell’esercito eritreo hanno preso lui e altri ragazzi della sua età e li hanno portati via.
Sono stati messi in carcere dove Samuele K. è rimasto per tre mesi fino a dicembre del 2005, con l’accusa di non essersi “prestato volontario” a partir soldato per combattere contro gli eterni rivali dell’Etiopia.
Finito il periodo dell’arresto, lui e i suoi amici sono stati portati in una caserma allo scopo di essere addestrati alla scuola militare, dove sono rimasti 6 mesi, fino a maggio del 2006.
Di seguito insieme ad altri due amici della sua stessa età è stato mandato presso un distaccamento ai confini con l’Etiopia.
In questo luogo ha subito delle pesanti punizioni, anche corporali ed è stato costretto ad addestramenti estremi: marce estenuanti, prove di coraggio e turni di guardia, tutto per compiere l’addestramento militare.
Samuele K. mi ricorda che il governo locale è al potere dal 1991 ed è costituito da forze militari di liberazione nazionale.
Nel dopoguerra l’Eritrea è stata annessa all’Etiopia e guadagnò, poi, la sua indipendenza dopo una guerra di trent’anni, combattuta fra il 1961 e il 1991.
La costituzione, adottata nel 1997, sanciva un regime di repubblica presidenziale con parlamento monocamerale; tuttavia il processo di ratifica della carta fondamentale è stato interrotto da quando, il 28 maggio 1998, l’apertura di ostilità con l’Etiopia ha indotto il governo a proclamare lo stato di emergenza che dura tuttora.
L’Eritrea è dominata col pugno di ferro dal “fondatore della patria” Isaias Afewerki, e sconta la tremenda crisi economica determinata dall’irrisolto contenzioso con l’Etiopia.
Tra i giovani eritrei è molto alta l’avversione per il governo perché attua moltissime restrizioni delle libertà personali e fondamentali ed obbliga tutti i giovani uomini e donne al servizio militare obbligatorio visto la proclamazione dello stato di emergenza.
Chi si ribella e tenta di fuggire, viene ucciso o messo in carcere per lungo tempo.
Il servizio militare “obbligatorio” a 15-16 anni, ha di fatto impedito a giovani braccia di lavorare e costretto intere famiglie alla fame e alla miseria.
Nei diversi distretti, prevalentemente dediti all’agricoltura, all’allevamento e alla pastorizia sono rimasti per la maggior parte donne, bambini e uomini anziani.
Tutte le forze giovanili abili ad imbracciare un fucile sono arruolate e formate alla guerra per andare ad ingrossare le fila dell’esercito al confine con l’Etiopia. Il clima che si respira quotidianamente nelle diverse città è quello di una continua paura per un imminente conflitto, in parte è vero, ma in parte è anche costruito ad arte, per distogliere l’attenzione sui veri problemi del paese: crisi economica, sociale, politica ed estrema povertà.
Nel mese di luglio del 2006, Samuele K. e alcuni suoi compagni, non accettando in cuor loro di essere stati sequestrati, umiliati e costretti con la forza alla vita militare decidono di scappare.
Nel momento della fuga, sono sorpresi dalle sentinelle che hanno iniziato a sparare contro di loro.
Nonostante la notte e la corsa veloce, uno di loro viene colpito ad un a gamba e ripreso dai soldati eritrei, lui e l’altro commilitone hanno portato avanti la fuga nascondendosi per tutta la notte in un canale e poi passando oltre il confine in Etiopia.
Samuele K. ha saputo successivamente che il compagno di fuga catturato è stato poi fucilato come disertore.
La fuga dei due giovani è continuata con successo finché non sono stati catturati dai soldati etiopi, essendo vestiti in divisa militare dell’esercito eritreo, i soldati etiopi dopo la cattura li hanno portati in una specie di prigione allo scopo di identificarli e di assicurarsi che non fossero dei commando o tantomeno delle spie.
Nell’interrogatorio Samuele K. e l’amico hanno spiegato il loro gesto di diserzione poiché fortemente in disaccordo con la politica e il regime del governo.
Sono rimasti in balia dell’esercito etiope per una settimana al buio e mangiando malamente una sola volta al giorno.
Infine, gli hanno dato dei vestiti borghesi per cambiarsi e li hanno portati al Nord in un paese a ridosso del confine con il Sudan, in un campo di prigionia e di lavoro.
Per mangiare veniva dato loro una razione di grano macinato in quantità scarsissima, sono rimasti lì per tre settimane circa.
Nell’agosto del 2006 Samuele K. è riuscito a scappare da solo.
Con l’aiuto dei suoi fratelli che hanno pagato 1.500 Birr etiopici, (circa 100 euro) nascosto in un furgone ha attraversato il confine ed è entrato clandestino in Sudan.
E’ rimasto in Sudan una settimana e poi a fine agosto del 2006, sempre con l’aiuto dei famigliari, che hanno pagato una somma di circa 1000 dollari è passato in Libia.
Il viaggio da clandestino è durato due settimane, prevalentemente di notte su mezzi motorizzati e per vie arcane fino a Tripoli.
Anche la permanenza a Tripoli è stata piena di vicissitudini.
Con l’ulteriore sostegno dei fratelli e sorelle, che hanno sborsato l’ulteriore cifra di 1200 dollari, Samuele K. Era una delle 35 persone clandestine che stava per imbarcarsi per l’Italia.
Durante le fasi di imbarco, avvertita da una spiata, è sopraggiunta la retata della polizia libanese. Samuele K. è riuscito a fuggire, ricercato dalla polizia libica è rimasto nascosto nel parco cittadino per due giorni su un gigantesco albero.
Quando è sceso ha chiamato un taxi chiedendo di essere accompagnato al porto, ma il tassista a sua insaputa lo ha portato dalla polizia.
E’ stato così arrestato e tradotto in carcere, dove è rimasto per 6 mesi vivendo in condizioni dure al limite della sopravvivenza fino ai primi di giugno del 2007.
Soccorso nuovamente dai famigliari, dopo la scarcerazione ha ripetuto, questa volta con successo, tutte le operazioni di imbarco per approdare nuovamente come clandestino in Italia.
Accolto dalla Caritas è attualmente nella nostra città come richiedente asilo politico.
Mi ha confessato Samuele K, che il ritorno al suo paese potrà avvenire solamente quando saranno instaurati un altro governo e un nuovo presidente.
In Eritrea sono rimasti 2 suoi fratelli e 3 sorelle. I due fratelli e una delle sue sorelle attualmente sono soldati dell’esercito.
Le altre due sorelle sono sposate e vivono con le loro nuove famiglie.
Samuele studia e presto avrà un lavoro. Poco tempo fa è stato raggiunto da una sua parente, potrà lasciare così’ l’assistenza della Caritas e vivere in un nucleo a lui famigliare.
Tutte le peripezie di Samuele K., soprattutto la sua voglia di lottare per l’ideale della libertà, anche a costo della sua vita, mi ha profondamente commosso e impressionato.
Dedico questo racconto ai nostri giovani che senza dubbio beneficiano di una vita più tranquilla e libera; sicuramente il benessere, la libertà e la democrazia che godono sono qualità poco comprese e stimate, perché tutto quello che abbondantemente li circonda e che non è il frutto di una personale conquista, corre il rischio di essere poco apprezzato e anche poco difeso.
Daniele Zattini