Il vangelo è sempre una buona notizia per la nostra vita anche quando la scorza appare dura. Sì, perché si possono usare queste parole puntando il dito contro i propri sensi di colpa o contro qualcuno violando la storia sacra e la coscienza che già può soffrire. Lo dico vivendo in una periferia di Mondo nella quale tante persone versano lacrime amare per storie che dovevano essere d’amore e non lo sono affatto. Purtroppo. E che vanno aiutate e sostenute come ci sta invitando Papa Francesco nell’Amoris Letitia.
Il vangelo di questa domenica infatti è una risposta ad una domanda tendenziosa fatta dai farisei per mettere in castagna Gesù. Non è una ricerca sincera sulla bellezza di una storia d’amore, ma la richiesta riduttiva di interpretare la Legge sul divorzio presente nell’AT. In Deuteronomio 24,1 si legge: “quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa”. All’uomo, e solo a lui, era permesso di scrivere l’atto di ripudio, di cacciare la moglie di casa nel caso non trovasse più “grazia ai suoi occhi” perché aveva trovato in lei “qualcosa di vergognoso”. Cosa significa “qualcosa di vergognoso”? Per la scuola rabbì Hillel significava qualsiasi cosa non piacesse più, per altri rabbini bruciare la cena, per rabbì Shammai e la sua scuola “qualcosa di vergognoso” era trovare la propria donna in flagrante adulterio. Dunque a seconda della scuola di pensiero si aveva accesso a una diversa interpretazione. Gesù come sempre è incredibile. Davanti allo sguardo basso aiuta sempre ad andare al fondo delle cose e lo fa facendo domande. Svela che questa ‘legge’ è donata per la durezza del cuore mentre al principio, nel sogno creativo di Dio non era così. Infatti Dio fece l’umanità “maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”.
Al principio dunque Dio crea un umanità polarizzata, dove vi è un principio di distinzione massimo: quello dell’uomo e la donna. Tale distinzione non è divisiva ma anzi, è fatta per ‘cercarsi’ per generare movimento: “per questo l’uomo lascerà suo padre…”. Tale distinzione è chiamata a generare un incontro che, andiamo a Genesi, vince la solitudine: “non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen 1,18) e che ha per obiettivo il divenire “una sola carne”, una comunione radicale.
Perché, come scrive Alda Merini, “ci si abbraccia per ritrovarsi interi”. Dunque il sogno di Dio è che ciascuno di noi possa sperimentare nella vita questo amore che ci rende interi, questo amore che ci corrisponde, che ci rende autenticamente noi stessi, che riesce a vincere la radicale solitudine originaria e che è purtroppo è diffusa anche in spazi che dovrebbero essere di comunione come le famiglie, presbitéri e comunità di vita nel vangelo… Una solitudine che è vinta da un ‘abbraccio’ capace di narrarci l’Abbraccio di Gesù che ci fa fiorire, che ci dona vita, che ci fa sperimentare la bellezza di un amore… anche per noi…
Signore grazie perché vuoi amarci così tanto da farci toccare il tuo amore attraverso le relazioni che viviamo, relazioni che diventano sacramento della tua bontà nella nostra vita. Sei davvero un Dio che abbraccia tutto di noi…
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